“Cosentino è un intellettuale della scena, un cabarettista sui generis, scanzonato, ferocemente autocritico, dada, lucidissimo nell’attraversare parodicamente generi e stili. Da tempo non vedevo suoi lavori: lo ritrovo ancora più consapevole, allegramente cinico nello “sdrammatizzare” tutto e tutti. Ha, dalla sua, una sincera modestia che svela mettendosi in gioco totalmente pur celandosi dietro “personaggini” che connota di elementi cheap e pop, dalle parrucche agli occhialini di carnevale. Chiama continuamente in causa il suo vissuto, il privato, la presenza ossessiva della madre: evoca la parlata abruzzese d’origine assieme, per questo lavoro, allo slang fumoso e tecnico del critico d’arte o alla enfasi criptico-autoreferenziale del “performer”.
Not here not now parla, infatti, proprio di performance e d’arte contemporanea. E lo fa prendendo spunto dall’omaggio a Marina Abramovic organizzato dal Pac di Milano un paio d’anni fa, durante il quale venne presentato quel che si definisce The Abramovic Method, ovvero una riflessione (che si fa prassi) sul ruolo e la presenza del pubblico nelle performance. Cosentino muove da questa suggestione e la racconta: è andato alla performance milanese della Abramovic, vi ha preso parte. Not here not now, dunque, è occasione succulenta per prendere sanamente e seriamente in giro quel mondo, investigando la dialettica performance/rappresentazione.
Andrea Cosentino fa, nell’arco di un’ora, una travolgente controstoria del contemporaneo, da Duchamp in poi, rendendosi protagonista e spettatore di se stesso: assume addirittura le sembianze di una simil-Abramovic, ed evoca gesti e azioni (anche in divertentissimi video) di questa grande icona dell’arte d’oggi. Nelle lunghe digressioni sull’astratto e il concettuale, degne di Petrolini, gioca sempre volutamente al ribasso, in una destabilizzante presa in giro della retorica complessa del mondo delle arti visive contemporanee. […] Cosentino sa il fatto suo, ovviamente: questo è cabaret per intenditori. Così, sa di incontrare un pubblico consapevole, capace di slittare ogni istante assieme a lui in piani concettuali altri, proprio nel momento in cui l’attore nega il “concetto” nell’arte. La vertigine di questo efficacissimo monologo, dunque, è proprio nella sua paradossale meta-teatralità concettuale: per quanto giochi con il grottesco, con il popolare, con il comico, Cosentino demistifica l’apparato ideologico della performance, assumendone però, nella parodia, i connotati e le strutture. L’esito, si sarà intuito, è divertentissimo, di sublime arguzia, con guizzi di genialità. E chissà, probabilmente divertirebbe anche la stessa Abramovic.”